Fino al XVIII secolo L’Emilia Romagna era, assieme al Veneto, la regione con la maggiore superficie di zone umide in Italia. Tutta la pianura era caratterizzata dalla presenza di zone temporanee e permanenti con acque lentiche (stagnanti) e lotiche (correnti). Nel 1865 vennero censiti in Emilia-Romagna 188.000 ettari di zone umide lentiche (pari al 16,6 % del territorio regionale di pianura) e 14.000 ettari di risaie, ubicati principalmente nelle provincie di Modena, Bologna, Ferrara e Ravenna. La bonifica per colmata o per drenaggio di gran parte delle zone umide è stata compiuta a partire soprattutto dalla seconda metà del XIX secolo quando, terminato il disboscamento delle foreste planiziali, iniziò con crescente determinazione e successo la realizzazione delle opere per il controllo idraulico del territorio in concomitanza con un aumento senza precedenti della popolazione umana e con l'intensificazione dell'agricoltura. Vari tipi di zone umide quali le valli (porzioni arginate di antiche lagune costiere), utilizzate da tempi immemorabili per l'itticoltura estensiva, sono ancora oggi presenti e ben rappresentati, altri invece, come nel caso dei boschi igrofili, sono ridotti a lembi relitti mentre altri ancora quali i prati umidi, situati ai margini degli ambiti vallivi sia salmastri sia d'acqua dolce su superfici irregolarmente coltivate e più spesso utilizzati solo per il pascolo nei periodi asciutti, sono stati eliminati del tutto.
In Italia il processo di riconoscimento da parte dell'opinione pubblica dell'importanza delle zone umide come ambienti che ospitano organismi viventi molto peculiari e che svolgono importanti funzioni ecologiche e idrogeologiche, è stato molto tardivo rispetto ad altri Paesi ed è stato ufficialmente sancito nel 1976 dalla ratifica della Convenzione internazionale di Ramsar (1971) relativa alla conservazione delle zone umide d'importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici. Molte delle zone umide ancora esistenti sono del tutto o in parte scampate al prosciugamento principalmente per ragioni idrauliche e cioè perché vi era la necessità di casse di accumulo delle acque per le risaie o di espansione dei corsi d'acqua in piena o perché situate in depressioni il cui prosciugamento risultava troppo oneroso. Anche l'utilizzo per l'attività venatoria e l'itticoltura contribuì in modo determinante, soprattutto dagli anni '50 in poi, alla conservazione di numerosi biotopi posseduti da privati.
Attualmente la maggior parte delle zone umide dell'Emilia-Romagna sono situate nella fascia costiera che va da Cervia al Po di Goro e, benché ridotte ad un decimo della superficie che occupavano nel secolo scorso e soggette a più o meno radicali trasformazioni, conservano un buon livello di diversità ambientale. Alle zone umide costiere (arenili soggetti alle maree, sacche e lagune collegate al mare, saline, valli salmastre arginate e stagni costieri) e alle zone umide scampate alle bonifiche, alle lanche fluviali e ai fontanili si sono aggiunti i maceri, le risaie, le casse di espansione, i bacini per l’itticoltura e/o l’attività venatoria, i bacini di decantazione delle acque e dei fanghi di zuccherifici e allevamenti e da ultimo le zone umide ripristinate attraverso l'applicazione dei Regolamenti comunitari 2078/92 e 1257/99.
Sotto il profilo ornitico poche delle suddette tipologie di zone umide sono in grado di fornire ad una specie o più specie tutte le caratteristiche ecologiche necessarie allo svolgimento dell’intero ciclo biologico e pertanto l’analisi della comunità di uccelli di una zona umida deve generalmente considerare gli ambienti circostanti, la superficie e le caratteristiche delle altre zone umide vicine. Per l’avifauna i vari sistemi idrologici e i circa 31.000 ettari di zone umide irregolarmente distribuite nella pianura formano infatti un reticolo di ambienti, spesso ecologicamente complementari tra loro, ognuno dei quali può fornire alle varie specie luoghi di sosta, siti di riproduzione e zone di alimentazione nelle varie stagioni.
Attualmente, così come in passato, le zone umide più importanti per l’avifauna acquatica sono situate in pianura e solo in alcuni casi nella fascia collinare e pedemontana lungo il corso di fiumi e torrenti. I laghetti dell’alto appennino, i piccoli bacini creati per l’accumulo di acqua e i più grandi laghi originati da dighe non sono stati considerati in questa sede poiché sono di importanza marginale per gli uccelli acquatici. Essi offrono infatti condizioni ambientali favorevoli a un numero limitato di specie durante la riproduzione (Tuffetto, Gallinella d’acqua, Martin pescatore, Passeriformi dei canneti) e vengono utilizzati da altre specie di maggiore interesse conservazionistico e gestionale (Anatidi, Aironi e Cormorani) solo occasionalmente.
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